Filosofia gastronomica “Contrasti & Assonanze
La Filosofia dei Contrasti Ho già accennato nel capitolo precedente come dai contrasti nascono le armonie. Le tabelle che ho proposto possono essere propedeutiche ai neofiti, soprattutto per cominciare ad avvicinarsi con cognizione al mondo della degustazione di un cibo, ma la vera novità che vorrei introdurre è la “filosofia dei contrasti.” Non ho velleità di creare correnti gastronomiche e neppure i mezzi per farlo, tuttavia come per il capitolo precedente sento la necessità di oggettivare i miei primi 20 anni di lavoro sul food. Scrivere un testo che rappresenti il mio modo di sentire la cucina e mostri quello che ho capito, studiato e intuito sull’universo della gastronomia, è per me un bisogno necessario. In questi ultimi anni stanno nascendo nuovi metodi di fare cucina, la chimica è diventata protagonista e, com’è già accaduto per il mondo dell’enologia, sta diventando ingrediente fondamentale per ottenere strabilianti risultati. La tendenza è di stupire il cliente piuttosto di farlo godere, perciò ecco “sfere liquide”, cibi che si scaldano o si raffreddano in bocca, pesci fritti nello zucchero, gelati mantecati all’azoto liquido e via discorrendo. Quando nelle arti, così come succede per la grande gastronomia o l’alta cucina che dir si voglia, nasce una nuova tendenza, una nuova corrente o semplicemente si volta pagina, si crea un effetto mediatico intorno al nuovo che è curioso e ripetitivo. Comincia una campagna di comunicazione verso il pubblico in cui il messaggio è: “Fate largo al nuovo che avanza, questi sono gli illuminati, giù il cappello” e tutti gli addetti del settore, giornalisti, redattori della stampa gastronomica, opinionisti e compagnia cantante saltano sul carro dei vincitori. Nella realtà com’è successo per la “nouvelle cuisine”, per la “fusion”, per la “creativa” e per altre correnti gastronomiche, la verità sta nel mezzo. Certo è bene che se ne parli. A mio avviso, è bene che si sperimentino e si cerchino nuove tecniche e nuove basi, tuttavia non nascerà mai, almeno per i prossimi anni a venire, un cambiamento così radicale da non essere sorretto dalle tradizioni, dalle cognizioni già consolidate, dalla qualità del prodotto. Sicuramente ogni nuova tendenza lascerà in eredità qualcosa, una contaminazione culturale, una tecnica più moderna, un piatto o un abbinamento innovativo che diventerà un classico. Tuttavia, credo che l’umanità non abbandonerà mai il retaggio del fuoco, la biodiversità degli alimenti, la cultura raffinata nei millenni. Nulla è cambiato veramente dal medioevo ad oggi: si è solo evoluto e perfezionato in linea con le conoscenze del momento. Il mio accenno alla cucina molecolare spero non sia risultato polemico o ironico, anzi rispetto e stimo profondamente i colleghi che hanno e stanno tuttora trasformando un’arte empirica, quasi alchemica e legata al talento individuale, come la cucina, in una scienza esatta, più codificata e sorretta da dati scientifici. Soprattutto utili a spazzare definitivamente tutte le “bufale” che ruotano intorno ai fornelli. Tuttavia il mio riferimento non è casuale, ma vuole avvalorare le mie tesi. Cito testualmente uno dei tanti articoli che girano su questa tendenza:
“Ormai da qualche anno molti grandi chef giocano con le consistenze degli alimenti più che con il gusto, stupendo i loro clienti con piatti che hanno consistenze molto diverse da quelle originarie del prodotto. Uova crude con la consistenza della ricotta, gelati al gusto di sigaro, cocktail solidi, sono solo alcune delle proposte che vanno molto di moda di questi tempi”. “Giocano sulle consistenze”, ossia fanno dei contrasti. Allora quale che sia lo stile di cucina che facciamo, mediterraneo, creativo, fusion, molecolare, ecc. non si sta cercando di eccellere con un
contrasto? Nelle ricette che seguiranno ho voluto spingermi oltre. Ovviamente ho cercato i contrasti istituzionali, per così dire, i quali non possono prescindere da una salsa equilibrata, con quelli, a volte, delle temperature, spesso contrastando le consistenze, anche se in maniera naturale. Ma soprattutto il contrasto che ho cercato è nell’aroma e nelle percezioni sensoriali. La mia teoria che è divenuta stile di lavoro è sorretta da tutto ciò che ho osservato e intuito ed è volta a trasmettere tutte le percezioni possibili in un unico piatto, a volte in modo esplosivo, a volte in modo lineare. Alcuni piatti sono potenti e robusti altri sono delicati come un petalo di rosa, ma tutti cercano i contrasti che creano l’armonia. Per meglio capire la filosofia dei contrasti e trasmettere il percorso mentale che utilizzo per comporre nuovi piatti e abbinamenti, ho pensato di mettere a disposizione un iter esplicativo.
Inserire un Fattore di contrasto sensoriale |
Partendo dal campo “Prodotto” comincia, in senso orario, l’analisi e la progettazione di un piatto. Dal prodotto principale, il soggetto cucinato, si deve scegliere il metodo e la tecnica per ottenerne il sapore allo stato liquido (fondo, brodo o essenza). Questa è la 1° fase. La 2° fase valuta e sceglie il tipo di cottura ottimale in base al contesto, al risultato da ottenere e alle caratteristiche del prodotto. La 3° fase si risolve in modo creativo e ponderato. La stagione, la cultura gastronomica e la zona geografica determineranno i prodotti adeguati per essere abbinati e composti nell’insieme. L’unica regola da seguire è che i complementi hanno un ruolo di supporto e/o di contrasto verso le consistenze o verso i sapori e gli aromi primari, perciò non devono mai spiccare o sovrastare il prodotto principale. Comunque è bene tenere conto di molte variabili:
- Identità del piatto che si vuole delineare.
- Stile di lavoro dell’esecutore
- Disponibilità dei prodotti secondari (aromi, spezie, erbe)
- Contesto generale
In questa fase la sensibilità e la capacità del cuoco determinano il risultato finale, tuttavia non è obbligatorio inserire sapori che possono snaturare l’insieme, perciò in caso di dubbio si può lasciare campo libero all’espressione del sapore primario, lasciando questa fase neutra. La 4° fase è trovare il bilanciamento dell’insieme. In realtà sono 2 i bilanciamenti da ricercare: il bilanciamento dei sapori primari e il bilanciamento fra il prodotto principale e gli ingredienti di supporto o caratterizzanti, ossia i sapori secondari. Il 1° obiettivo è ottenuto con la perfetta cottura del prodotto in simbiosi con l’adeguato confezionamento delle sue essenze liquide oggettivate con una salsa o da un condimento. Esempio: Un tortello o raviolo ripieno di polpa di coniglio può essere magistralmente accompagnato da un fondo di cottura, ricavato dalle ossa del coniglio, adeguatamente ridotto e concentrato e versato sui tortelli conditi a parte con un grasso crudo. Esempio: Una darna di pesce, cotta perfettamente può essere esaltata da un fondo bianco ricavato dalle teste dello stesso pesce, opportunamente concentrato e bilanciato dalla giusta percentuale d’acidità e di grasso. Il discorso del
bilanciamento delle salse è ancora un sotto argomento, che vedremo in seguito, ma molto importante alfine di ottenere l’obiettivo principale di questa fase. Il secondo obiettivo, come accennato, mette in relazione il prodotto e la sua essenza con i sapori e gli aromi dei complementi che possono essere neutri e d’appoggio oppure, al contrario, caratterizzanti e in contrasto. Naturalmente il solo fatto di essere in contrasto non assicura un risultato oggettivamente buono: il contrasto deve attenersi all’insieme e creare un’armonia. 5° fase: se i sapori e gli aromi sono importanti, non sono sicuramente da meno le consistenze, le quali, essendo percepite dal tatto, coinvolgono anche le temperature. In questa fase si deve valutare se il piatto ha in sé caratteristiche variegate per quanto riguarda le consistenze o le temperature. È palese che la carne dovrà essere tenera e succosa e di facile masticazione; il pesce, al palato, dovrà essere umido e sodo ma poi scioglievole; la pasta all’uovo, vellutata e leggera e così via. Tuttavia questa fase non verte su questi aspetti: il bravo cuoco è già attento a queste consistenze, diciamo… scontate? In questo caso le consistenze riguardano anche i complementi, i supporti, le guarnizioni, ossia tutto quello che orbita intorno, ma che deve diventare un insieme, e allora quale migliore occasione per inserire qualche consistenza insolita così ambita dai cuochi tecnologici dell’avanguardia molecolare? In realtà nessun effetto speciale, personalmente sono contrario alla chimica in cucina, però ci sono molti modi di esaltare le consistenze di un prodotto, usando la fisica oppure in modo arcaico, ma lo stesso di successo, naturalmente se ci si pone il problema di farlo. 6° fase: l’ultimo tassello, la chiave di volta, la ciliegina sulla torta. Perfettamente inutile o perfino di troppo può essere questo passaggio, perché abbiamo già soddisfatto 5 fasi che da sole potrebbero rendere qualsiasi piatto straordinario. Non ho voluto quindi strafare, ho osservato, però le reazioni di molti corsisti, persone che seguono i miei corsi di cucina, davanti ad un piatto perfettamente eseguito e di qualità, ossia quelli in cui avevamo soddisfatto le prime 5 fasi. Ho registrato in seguito, durante corsi specifici in cucina di ricerca, le loro reazioni davanti a piatti arricchiti con questo nuovo elemento di contrasto. Ebbene i primi a distanza di anni si ricordano di aver assaggiato questo o quel pesce che era buono e saporito e in sostanza di aver mangiato bene. I secondi si ricordano il piatto nei minimi particolari e hanno impresso nella memoria l’emozione che gli ha suscitato. Vi sembra sufficiente per aggiungere anche quest’ultimo elemento?
Salse si…salse no? È doveroso approfondire l’argomento delle salse finite o di accompagnamento, poiché in questa
cucina di contrasto, esse hanno un ruolo fondamentale. Non perché siano obbligatorie, infatti in molte proposte sono persino assenti, poiché i taluni casi sono inutili, ma se sono previste devono avere le carattersitiche descritte in seguito. Inoltre dobbiamo ancora specificare e discernere il significato della voce “bilanciamento” delle salse, con il “bilanciamento” già visto e utilizzato per mettere in equilibrio ingredienti che compongono il piatto nel suo insieme. Le salse sono strutturate in vari modi, secondo le finalità e lo stile di lavoro, ma possono essere sostituite con condimenti e/o grassi crudi. Possono avere un’estrazione classica, oppure essere rilette in chiave moderna. Possono essere concentrate e spesse oppure fluide, oppure emulsionate, sotto forma di purea o mousse. Ne esistono moltissime codificate dalla cucina classica francese e dalla cucina regionale italiana, anche se nella nostra cultura nazionale ampio spazio lo occupano le salse o sughi per farinacei, che nella gastronomia francese, ovviamente non hanno menzione. Mentre tutte quante hanno subito rivisitazioni e alleggerimenti tipici del mondo che avanza. Le tecniche per confezionare delle buone salse finite sono molte, di seguito si è cercato di fare ordine e di inquadrare una procedura schematica in modo da facilitarne il loro confezionamento. Le ricette facilmente codificabili sono principalmente descritte nel capitolo “BASI”, ma qui si sono voluti esprimere concettualmente come le basi possono diventare salse ed essere gestite in modo tecnicamente corretto senza togliere l’espressività di chi cucina. Le salse fondamentali sono divise per categoria. Queste categorie hanno un retaggio classico e tradizionale dal quale non prescindo mai, ma sono state un po’ ridisegnate e distribuite secondo una personale scala di valori . Da queste salse si sviluppano tutte le altre.
- SALSE MADRI
Fondi, brodi, bisque, essenze; sughi di carne e derivati.
- SALSE EMULSIONATE
Riduzioni di fondi, brodi, essenze o sughi, emulsionati meccanicamente con grassi diversi e ossigeno.
- SALSE VELLUTATE
Besciamella, miscele di fondi/brodi/bisque legati con roux; puree e creme vegetali.
- SALSE PER FARINACEI
Salsa di pomodoro e derivati; salsa ai frutti di mare e derivati; salse ai funghi, sugo di brasato, sughi di carne; ragôut vari.
- SALSE FREDDE, CONDIMENTI O PESTI
Pesti della tradizione a base vegetale, salmoriglio, salse ravigote; dressing base olio; salse base uovo e derivati. Riassumendo e semplificando, aldilà dell’aspetto accademico e culturale che comunque rimane immutato, ho voluto estrapolare 2 sub-categorie di salse su cui mi appoggio spesso per progettare i miei piatti, specialmente le portate principali o i secondi di carne e pesce. Ho classificato le seguenti:
Come si desume dagli schemi seguenti, le salse si dividono in 2 o 3 fasi distinte + l’addensamento, secondo la tipologia di salsa scelta. Nel primo caso si comincia da una riduzione alcolica, da scegliere fre le opzioni elencate, ma sempre estremamente ridotta per dare modo all’alcol di evaporare completamente lasciando intatte le sostanze aromatiche del vino. A questo punto si aggiunge il fondo e si stringe ulteriormente per concentrare il sapore. Infine si unisce la percentuale di grasso necessaria a rendere questa riduzione una salsa. L’addensamento invece, è un discorso a parte poiché non sempre è necessario legare una salsa. Come espresso nello schema ci sono modi per legare le salse in modo corretto e senza alterare negativamente il sapore e la digeribilità, tuttavia una salsa per natura, sarà più gradita e di alto valore gastronomico se servita al massimo della sua purezza. Nel secondo caso, quello senza riduzione, che consiglio per confezionare salse finite per pesci e crostacei, si concentra al massimo il sapore del fondo, il quale bilanciato nei suoi sapori primari e addensato solo attraverso una emulsione con un grasso crudo, può essere ulteriormente legato secondo l’idea e il progetto del piatto che si condisce.
…è necessario legare una salsa? Questa è una delle domande che da ragazzo mi sono spesso posto senza riuscire a trovare una risposta soddisfacente. Forse non l’ho trovata neppure ora, quella scientifica intendo, ma almeno l’esperienza mi ha fatto arrivare ad una conclusione che potrebbe essere accettabile. Bisogna specificare che non tutte le salse nascono da un fondo, da una riduzione o da una miscela di brodi e liquidi. In moltissime ricette il liquido di cottura a base d’acqua, verdure e la concentrazione degli umori e dei succhi proteici di un arrosto o di un brasato, quello che nel linguaggio popolare veniva chiamato “bagna”, è la nostra perfetta salsa per accompagnare quello che abbiamo cotto. Nelle famiglie, così come nei primi luogo di ristoro pubblici, nessuno si è posto il problema di addensare una “bagna” oltre al suo grado di consistenza naturale raggiunto con la cottura. La contaminazione della nostra tradizione regionale e mediterranea con la cucina classica francese, avvenuta dal dopoguerra fino alla fine degli anni 70, ha lasciato questa eredità culturale nel nostro stile di cucina. Questo non significa che sia in assoluto sbagliato legare una salsa, ma neanche pensare che la salsa non può essere tale se non è legata! Il ragionamento è controverso, ma merita un approfondimento. Una salsa troppo lunga e acquosa corre via dalla pietanza senza condire, rimanendo in fondo al piatto. Una salsa troppo legata o ferma risulta stucchevole e poco digeribile e “impasta” la pietanza. Forse la verità sta nel mezzo? Non sempre! Se leggerete attentamente gli schemi seguenti per il confezionamento delle salse, capirete quanto abbia cercato modi alternativi di dare la giusta consistenza a questi esaltatori di gusto. Oggi alcuni grandi chef utilizzano addensanti a base di estratti di alghe oppure prodotti naturali o chimici provenienti dalla gastronomia industriale, personalmente sono contratrio a certe commistioni per cui continuerò a sbagliare di testa mia. Nella gastronomia accademica ci sono addensanti neutri e di complemento (vedi schema). Fra gli addensamenti neutri, le puree di patata, sono buoni alleati delle salse in materia di consistenza e non appensantiscono, mentre i “roux” o le fecole omologano i sapori in negativo e sono stucchevoli, anche se a volte necessari per ragioni di resa, ma se si tratta di qualità superiore è l’
emulsione la vera chiave per una salsa straordinaria. Partendo dal principio fisico che un
emulsione si crea mettendo in sospensione una particella di ossigeno con una particella di grasso, grazie ad una potente e repentina azione centrifuga, potremo affermare che le salse molto concentrate e legate con la sola forza dell’emulsione sono dal punto di vista tecnico le migliori possibili. (Vedi schema sotto) Tuttavia, un eccezione di ultima generazione è rappresentata dalla gomma xantano. Questa polvere di recente scoperta si ricava dalla fermentazione dell’amido di mais con un batterio dei cavoli. Il prodotto che ne deriva è una gomma di grande potere addensante. Ma la carattersitica che ne fa un prodotto eccellente è la capacità di lavorare a caldo e soprattutto di trattenere i gas, quindi anche l’aria. Ecco quindi un addensante naturale che non altera il gusto e che addensa gradevolmente solo utilizzando quantità irrisorie rispetto ad altri addensanti tradizionali. Tornando al cuore della questione, cioè quando e perché legare una salsa, concluderei con una riflessione: le salse hanno maggiore appeal quando sono ferme e nappano o lucidano il piatto in eleganti strisce o gocce, ecco perché per anni si sono legate a prescindere. Oggi sono ancora più intriganti se sono schiumose. Ma se non siamo in grado di farlo con le emulsioni o con sistemi meno devastanti di un roux o una fecola è meglio giocare d’astuzia. Quando la salsa è già buona ed equilibrata, condita e stuzzicante, non addensatela, sistematela in piccolissimi recipienti vegetali o di porcellana e corredate il piatto così: rispetterete l’equilibrio dei sapori e non avrete l’imbrazzo di una salsa troppo espansa e fuggente.